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Diario di un festival

Si sono da poco spenti i riflettori sul primo festival dell'appartenenza e dell'inclusione "DIRE DONNA" organizzato dalla Fondazione Div.ergo-Onlus e dall'associazione C.A.SA. e rimangono negli occhi quelle immagini che lo hanno caratterizzato e che segneranno come una traccia il cammino da seguire. La prima immagine è una platea con un palco al centro dove si è svolto un doppio evento con le donne protagoniste. 

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Ci troviamo all'hotel Tiziano, sala Bernini e durante il discorso inaugurale l'assessore Silvia Miglietta fa subito notare come la disposizione delle sedie in sala, a cerchi concentrici, sia già un manifesto programmatico per questo festival che da subito ci mette tutti faccia a faccia per favorire il dialogo e l'incontro. L'invito non viene disatteso, ma subito messo in pratica con i fatti, con due spettacoli memorabili. Quei cerchi infatti ospitano una sfilata di moda della collezione autunno/inverno di Martino Midali, indossata non da modelle professioniste, quelle che esistono solo sulle copertine dei giornali, ma da donne reali: insegnanti, avvocati, architetti, commercialisti, mogli che rivendicano una bellezza che è libertà di esprimere tutto il proprio essere con giocosità, ironia e consapevolezza di sé. Stesso messaggio, ma con il linguaggio potente del canto, viene lanciato dall'esibizione di Coro a coro. Trenta donne di ogni angolo del Mediterraneo che a voci scoperte e a piedi nudi incantano ed emozionano una platea entusiasta cantando quell'unica storia fatta di coraggio, fatica, amore ed emancipazione che è la vita quotidiana delle donne, pur nelle diverse culture e latitudini.

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La seconda immagine ce la offre un altro evento di questo festival: la collettiva di pittura all'ex Conservatorio Sant'Anna.

Anche qui nella sala più grande, al centro, oltre ai quadri vi è un cerchio di sgabelli. E sugli sgabelli sono sedute un gruppo di donne. Si tratta delle artiste, insieme ad altre, amiche, visitatori o turiste che discutono animatamente di arte, di bellezza, di solidarietà e ormai non si distingue più se l'arte di cui si parla abbia a che fare più con i pennelli o con l'intreccio sapiente del dialogo e dell'ascolto.

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La terza istantanea del festival è un patchwork di dibattiti con tante domande, tanti ospiti, tante possibilità di confronto, tutte al femminile, in luoghi diversi della città. Fra tutti hanno colpito molto l'incontro con la splendida attivista Rayhane Tabrizi, che ha raccontato la propria esperienza di lotta in difesa della libertà delle donne iraniane, e il dibattito sul film "Profeti" del regista Alessio Cremonini. Circa 1000 adolescenti in due giorni di proiezione hanno infatti visto il film e poi rivolto mille domande alle due protagoniste presenti in sala: l'attrice protagonista Isabella Nefar, nel film una carceriera dell'Isis che tenta di convertire all'islam la sua prigioniera, e la giornalista Susan Dabbous, dalla cui esperienza di rapimento da parte degli estremisti islamici di Al Quaeda è stato tratto il film.

L'ultima immagine è di sabato sera: all'uscita dal Teatro Apollo, dopo il bel concerto dei Radiodervish, evento conclusivo del festival, la gente esce a gruppetti sparsi, ma non va via. Ci si ferma a ringraziare e salutare le tante persone nuove incontrate, quelle con cui si è condiviso un percorso, si è lavorato insieme; a gruppetti si fa memoria con gratitudine dei tanti professionisti (artiste, parrucchieri, fotografi, pasticceri, fiorai, truccatrici, giornalisti, tecnici, musicisti, ...) che hanno regalato la loro competenza mettendosi in gioco per i vari appuntamenti di questo festival. E insieme, prima ancora di fare un bilancio, si condivide la netta sensazione che a fare il successo di questo festival non siano state solo la qualità degli eventi realizzati, ma anche lo spirito di collaborazione e dialogo che questo festival ha saputo suscitare in città. È un primo passo importante perché l'appartenenza e l'integrazione non si fanno solo con le parole. Arrivederci a presto.

Olivier Piazza

Dire Donna: Festival dell’Appartenenza e dell’Inclusione

Ha veramente senso – tra le numerose iniziative culturali
che animano la vita della nostra città – organizzare un Festival
dell’Appartenenza e dell’Inclusione?


Ce lo siamo chiesto più volte: all’inizio, quando l’idea
prendeva forma a partire da stimoli convergenti,
e durante il processo di preparazione, quando le difficoltà
hanno cominciato a pesare in maniera consistente, rendendo
difficile la realizzazione.
La ragione più importante che ci ha sostenuti è
anche quella più evidente: oltre le parole,
le intenzioni, i nobili ideali, il nostro mondo e la città fanno
fatica ad essere inclusivi, a tenere i confini della comunità
aperti a tutti, non favoriscono il sentirsi accolti nella propria
unicità e non uniformati; allo stesso tempo la partecipazione
e il mancato adeguamento alla vita sociale, civile, politica,
ostacolano i processi di reale appartenenza di coloro che sono
più fragili, sono ai margini, sono poveri. Ma appartenere a un
ambiente, starci bene con gli altri, sentirsi al proprio posto
e a proprio agio e voler e poter dare a quel contesto il meglio
di sé è estremamente vitale per tutti. La prima categoria
che ci è venuta in mente, pensando a tutto ciò, è stata quella
delle donne, specchio eloquente e spesso trascurato di tale
disallineamento tra ragioni ideali e prassi quotidiana, tra
intenzioni e abitudini.


Proponiamo una riflessione a partire dal titolo provocatorio
“Dire Donna” per sottolineare il danno alla dignità di tutte
le donne provocato da una cultura che reagisce ai fatti
drammatici, di violenza, senza “agire” buone pratiche
di riconoscimento ed inclusione.


Abbiamo voluto costruire un percorso articolato, ricco
di contributi sul femminile e al femminile, sperando di
coinvolgere la città e il suo territorio in modo partecipe
e attivo. Vi aspettiamo

Maty e Gigi

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